Storia naturale dei tumori
Molto spesso mi sento rivolgere dai miei pazienti domande quali: "esattamente che cos'è un tumore?" ed ancora: "quanto tempo fa potrebbe essere insorto questo tumore prima che lo scoprissimo?". Così è nata l'idea di mettere giù queste righe per spiegare quella che possiamo definire la storia naturale dei tumori.
Innanzitutto ci sono molte definizioni di tumore; sostanzialmente la maggior parte delle definizioni sottolinea il fatto che il cancro è la proliferazione di un ammasso cellulare neoformato che non sottostà più alle regole dei tessuti che lo ospitano mentre in maniera progressiva e disordinata li invade e li infiltra.
Altre definizioni pongono l'accento sul fatto che le cellule tumorali hanno perduto in parte o totalmente ed in maniera irreversibile le capacità funzionali che svolgevano correttamente quando erano cellule sane, mentre ne hanno acquistate di nuove come ad esempio la capacità di riprodursi ed attecchire anche in tessuti lontani da quello nativo, oppure ancora la capacità di produrre proteine e sostanze totalmente nuove o diverse da quelle che avrebbero dovuto fabbricare. Ma in tutti i casi il cancro è sempre riconducibile ad un'alterazione non riparabile ed irreversibile del genoma cellulare. Questa è a mio avviso l'autentica definizione di cancro, una definizione capace di sintetizzare anche il meccanismo etiopatogenetico.
Se il danno genetico è lieve la cellula può essere in grado di ripararlo grazie ad una endonucleasi che escinde il frammento di DNA danneggiato e alla DNA-polimerasi che riscrive il nuovo frammento corretto copiandolo dal corrispondente indenne dell'altra elica del DNA; ma se la cellula mutata si riprodurrà prima di essere riuscita a riparare il danno, essa replicherà anche il suo DNA sbagliato, trasferendo a tutta la sua discendenza l'errore genetico. In questo modo da una singola cellula mutata sarà derivato prima un clone tumorale e successivamente un tessuto tumorale.
Le cause che possono indurre un danno al patrimonio genetico di una cellula, cioè che possono indurre un'alterazione segmentaria del DNA di una cellula, possono essere esterne o interne alla cellula stessa. Tra le cause intrinseche vanno annoverati tutti i deficit dei sistemi enzimatici cellulari deputati appunto alla riparazione del DNA. Tra le cause estrinseche, che sono anche le più frequenti, interessanti e pericolose, vanno invece annoverate le cause ambientali (agenti chimici e agenti fisici) e le cause virali (virus oncogeni). Ma in conclusione, qualunque sia stata la causa mutazionale, se la cellula non ha potuto autoripararsi e se è sopravvissuta alla mutazione stessa, l'errore genetico verrà riprodotto nella discendenza.
Tra le cause extracellulare affascinante è il ruolo di certi virus capaci di inserirsi totalmente o in parte nel DNA della cellula. I virus sono per definizione incapaci di replicarsi autonomamente come i batteri e gli altri organismi, per cui si servono della cellula che parassitano per riprodursi. Ma i virus così detti oncogeni hanno una marcia in più, cioè posseggono dei geni virali detti v-onc o geni trasformanti, cioè geni capaci di indurre mutazione. Anche nelle cellule sane per la verità sono stati scoperti geni simili agli oncogeni virali, che sono stati chiamati c-onc o geni proto-oncogeni. Come si difendono normalmente le cellule sane? Le cellule hanno altri geni che esplicano attività repressiva sulla comparsa di alterazioni neoplastiche: sono i geni anti-oncogeni o geni repressori del cancro. Da tutto ciò si evince che la partita della mutazione oncogenetica si combatte su un piano di contrapposizione e bilanciamento tra forze onco-inducenti e forze onco-repressive.
Abbiamo detto che una cellula oncologicamente mutata diventa un clone cellulare capace di replicarsi successivamente e progressivamente per costituire giorno dopo giorno un tessuto tumorale, cioè un cancro. Un tumore solido diventa clinicamente evidenziabile quando le cellule che lo costituiscono hanno raggiunto il numero di almeno un miliardo. I tumori con una popolazione cellulare inferiore al miliardo sono infatti generalmente asintomatici. Pertanto la comparsa della sintomatologia clinica ha luogo molto tempo dopo la vera nascita del tumore. E' dunque chiaro come la comparsa della sintomatologia clinica di un tumore non coincide con la nascita di questo bensì praticamente con la fase terminale della malattia neoplastica che è stata preceduta da un più o meno lungo periodo di tempo detto periodo di latenza. Durante tutto il periodo di latenza, che in molti tumori dell'uomo può durare anni, il tumore già esiste in quanto aggregazione di cellule neoplastiche in riproduzione ma non è stato ancora clinicamente individuato. Vorrei che ci soffermassimo a riflettere bene su questo concetto: quando clinicamente scopriamo il cancro, probabilmente questo era nato molto ma molto tempo prima ed è rimasto naturalmente silente per tutto il periodo di latenza.
Se allora è vero come è vero che il cancro si può vincere solo grazie ad una diagnosi precoce, si comprende facilmente come ancora più incisiva ed efficace sarebbe la nostra terapia se riuscissimo ad intervenire non solo in fase di diagnosi clinica precoce ma addirittura in fase di periodo di latenza. Da qui la necessità di identificare specifici marcatori neoplastici che ci consentano di individuare il tumore in fase preclinica. In questo senso si muovono da tempo molte ricerche scientifiche che hanno permesso di mettere a punto efficaci metodiche di screening come il dosaggio del PSA per i tumori della prostata, del CA19-9 per alcuni tipi di tumori pancreatici, del DNA circolante per molti tumori polmonari, ecc. ecc.
Ma come facciamo a studiare la storia naturale dei tumori? Ci soccorre in questo la cancerogenesi sperimentale, cioè la riproduzione nel modello animale delle fasi di sviluppo di un cancro. Il modello animale innanzitutto ci dimostra che la storia naturale del tumore muove attraverso 3 fasi cronologicamente successive che sono l'iniziazione, la promozione e la progressione.
Nel modello di cancerogenesi sperimentale sull'animale il cancerogeno chimico destinato a provocare l'iniziazione del tumore viene somministrato a piccole dosi subliminali che agiscono con effetti di sommazione nel tempo.
La promozione del tumore si ottiene quando ad una dose non ancora ottimale di cancerogeno adoperato per l'iniziazione si va ad aggiungere un'altra sostanza (di per sé incapace da sola di indurre tumore) detta co-cancerogeno. Per farmi capire meglio vi faccio un esempio esplicativo: un contadino con la pelle del viso bruciata dai raggi solari di una vita di duro lavoro nei campi ha subito un processo di iniziazione cancerosa da parte del sole sulla sua pelle. Infatti la sua pelle, arida, rugosa e screpolata, presenta tutta una serie di fenomeni pre-cancerosi che vanno dalla cheratosi attinica, all'acantosi senile, alla fotocheratite ossidativa, alla metaplasia squamosa. Un giorno il contadino si ferisce alla fronte con una spina di rosa; la ferita sembra talora voler guarire coprendosi anche di crosta sottile ma poi si riulcera e torna a sanguinare. Dopo mesi e mesi di questo balletto viene visitato dal suo medico che fa diagnosi di epitelioma spinocellulare, cioè cancro della pelle. La ferita accidentale in questo caso è stata l'agente promotore di un cancro la cui iniziazione è da attribuire alla prolungata esposizione al sole.
Un altro esempio di iniziazione che mi viene di citare è quello offerto dallo Xeroderma pigmentosum, una peculiare malattia ereditaria in cui le cellule della cute hanno guasti quali-quantitativi agli enzimi riparatori del DNA. Orbene in questo caso l'azione dei raggi u.v. provoca la mutazione (che non è riparabile a causa del deficit enzimatico) e conseguentemente l'insorgenza di un gran numero di epiteliomi baso e spinocellulari nelle zone cutanee esposte alla luce solare.
Altri esempi di iniziazione sono offerti dal carcinoma epatocellulare e dal carcinoma del collo dell'utero. In questi due casi l'iniziazione neoplastica coincide con l'inserzione nel genoma della cellula rispettivamente del fegato e della cervice uterina di una codificazione genetica errata quale quella del DNA del virus dell'epatite C o rispettivamente di un papilloma-virus umano.
E la progressione? La progressione del tumore consiste nel superamento della fase iniziale in cui questo non era capace ancora di espandersi e di metastatizzare a distanza e coincide con l'acquisizione da parte delle cellule tumorali della capacità di stimolare l'angiogenesi (cioè la produzione di vasi arteriosi nuovi) mediante la sintesi di TAF (Tumor Angiogenetic Factor) e di diffondere ed attaccarsi a tessuti lontani mediante la sintesi di molecole ICAM-1 (Intracellular Adhesion Molecules-1) capaci di provocare citoadesione. Come una città che per espandersi correttamente ha bisogno di pianificare l'incremento di reti fognarie, reti idriche, strade di collegamento logistico e quant'altro, così si comporta anche il tumore; per poter crescere senza ostacoli egli ha bisogno di assicurarsi nuovi vasi che portino sangue ossigenato e nutrimento alle grandi masse cellulari in accrescimento; perciò le sue stesse cellule producono TAF, cioè fattori di stimolo della neovascolarizzazione, sempre presente in un tumore in crescita. In questa direzione si muovono alcune moderne ricerche di cura del cancro: riuscire a bloccare la sintesi di TAF per affamare il tumore ed impedirne la crescita per mancanza di nutrimento. Analogamente ma con effetto meccanico funzionano tutte quelle terapie che prevedono l'embolizzazione occlusiva dell'arteria afferente selettiva di un tumore.
Uno dei tumori che meglio si prestano allo studio della progressione tumorale è il melanoma, del quale io mi occupo specificatamente; anzi il melanoma cutaneo è l'esempio più classico di progressione neoplastica in oncologia umana. Durante la prima fase il melanoma è in situ, cioè ha uno sviluppo circoscritto e orizzontale, con cellule che non hanno ancora capacità invasiva di penetrazione; nella fase successiva il melanoma si verticalizza mediante la selezione di cloni cellulari altamente aggressivi, cioè capaci di replicare la malattia a distanza. Questa capacità invasiva del melanoma si realizza allorché le sue cellule sono in grado di fabbricare il TAF (cioè il Tumor Angiogenetic Factor che provvede alla genesi del sistema vascolare della neoformazione stimolando la proliferazione degli endoteliociti dei vasi limitrofi del connettivo che costituiranno il sistema vascolare della neoplasia stessa) e le ICAM -1 (Intracellular Adhesion Molecules-1, sostanze che conferiscono alle cellule tumorali la capacità di aderire a citotipi diversi e di accrescersi in sedi tissutali lontane). Tale capacità di sintetizzare il TAF e le ICAM -1, vale a dire i fattori responsabili della penetrazione invasiva e dell'attecchimento metastatico a distanza, il melanoma l'acquisisce quando supera lo spessore di 0,75 mm. Ciò spiega l'importanza prognostica che noi diamo allo spessore del melanoma calcolato secondo l'indice di Breslow, al pari se non di più dell'importanza che diamo ai livelli istologici di invasione, calcolati secondo Clark.